Storia femminile di Internet
di Andrea Venanzoni,
(24 febbraio 2021)
Jeff Bezos. Mark Zuckerberg. Steve Jobs. Stewart Brand. Howard Rheingold. Richard Stallman.
Siamo soliti pensare, complice anche una narrazione ormai incistata nel fondo della memoria collettiva del digitale, che Internet sia un eco-sistema esclusivo appannaggio di uomini.
Proprio per questo diventa preziosa la pubblicazione in Italia di ‘Connessione – storia femminile di Internet’, di Claire L. Evans (LUISS University Press, 2020), un volume che ricostruisce analiticamente il volto rosa, e decisamente poco conosciuto, della società digitale e il contributo fornito dalle donne alla evoluzione delle tecnologie comunicative.
In genere, come sottolinea Giulia Blasi nella prefazione, vediamo Internet come il prodotto quasi solipsistico di un nerd dalle intuizioni incandescenti, chiuso nel solustro azzurrognolo di un garage. Claire L. Evans dimostra che non è così.
A partire dalla memoria casalinga dei suoi rapporti con il Dell, primitivo computer descritto come una ‘scatola beige’, collegata a un altrettanto primitivo e scarsamente performante modem: quelle prime pionierisriche esplorazioni del vuoto digitale, con il rumore di fondo gracchiante della connessione e di sistemi operativi grezzi e da cesellare passo dopo passo, si sono trasformate nella suggestiva immagine di ‘uno schermo di vetro’.
Novella Alice nel Paese delle meraviglie, la Evans si immerge nella coltre del digitale, si perde in esplorazioni e intuizioni, scopre che si possono finalmente, nell’anonimato, porre quelle domande che i costrutti sociali spesso ci rendono difficile sostenere dal vivo, si cementano reti e connessioni amicali, relazioni, si stringono i primi vincoli di una comunità virtuale.
E proprio della comunità virtuale, la prima in assoluto, The Well, emerge il peso specifico, la cifra complessiva, l’importanza costitutiva: eppure della stessa The Well conosciamo il contributo maschile, sotto la forma della fondamentale teorizzazione di Edward Rheingold (‘The virtual community’, II edizione ampliata del 2000 della MIT Press), ma disconosciamo l’importanza di Stacy Horn in quello stesso ecosistema virtuale e del suo progetto ECHO, che nei fatti rappresentava un The Well migliore, più attento a dettagli e particolari.
Il volume è in generale una analitica ricostruzione, in ordine cronologico, di donne che hanno svolto un ruolo attivo nella progettazione, nello sviluppo, tanto dei sistemi hardware quanto dei software: pioniere, visionarie, sperimentatrici, senza aver nulla da invidiare alla carrellata di personaggi maschili con cui ho aperto la recensione.
Ed in effetti la intuizione dell’autrice è quella di risalire molto indietro nel tempo, dalla Contessa di Lovelace, Ada King, figlia di Lord Byron, e inventrice della macchina analitica, un proto-computer risalente alla metà del XIX secolo, alle kilo-girls, unità di misura equivalente a circa mille ore di calcolo e che rappresentava, semanticamente, la sublimazione in quel ‘ragazze’ di tutte le matematiche, le ingegnere, le astrofisiche di Harvard che dalla fine del XIX secolo e fino alla fine del secondo conflitto mondiale rappresentavano la maggioranza del corpus del personale di ricerca di Harvard e che avrebbero in seguito dato il loro fondamentale contributo alla evoluzione della telefonia.
Il primo algoritmo di programmazione di Ada King, compilato per far risolvere alla macchina analitica il complesso calcolo dei numeri di Bernoulli
Non manca l’epopea degli anni settanta, e così veniamo introdotti a Resource One, originante da un rugginoso e precedente progetto, Project One, un capannone industriale color giallo senape divenuto una enorme enclave tecnologica, modulata in cunicoli, stanzette-casa da dieci medri quadri l’una, con stanze dentro cui si discuteva, si progettava, si urlava, si rideva e si piangeva. Un autentico pueblo in città, per riprendere la definizione che ne aveva fornito il letterato Charles Raisch.
Molte delle personalità di spicco della comune di hippie tecnologici erano donne, come Pam Hardt-English, femminista, pacifista, molto attiva nei movimenti studenteschi che a Berkeley si erano opposti all’impegno militare statunitense in Vietnam. Fu lei a sviluppare l’utilizzo sociale e politico delle connessioni e delle reti, e quindi a valorizzare le potenzialità politiche del digitale.
In questo libro troverete personaggi femminili di cui raramente, per quanto possiate essere conoscitori della storia del digitale, avrete sentito parlare, e proprio in ciò sta l’importanza della pubblicazione, la cui chiusura, non casualmente, è dedicata alle Gamer, da anni al centro di autentiche vessazioni da parte dei troll digitali, e al cyber-femminismo, perché ‘il mondo digitale eredita i problemi del reale’.
Articolo apparso in:
Fondazione Leonardo
24 febbraio, 2021