Gli unicorni salveranno il Turismo, e non solo
di Avv. Marco Proietti
(03 marzo 2021)
E’ una figura leggendaria, con il corpo di un cavallo e un solo corno in mezzo alla fronte, spesso richiamato in film e cartoni animati, soprattutto della Disney. Qualcuno giura di averli visti, ma per lo più si tratta di racconti o fiabe che si perdono nella notte dei tempi.
Eppure gli unicorni esistono davvero!
Nel settore delle imprese high tech o comunque delle start up innovative si definiscono “unicorni” quelle aziende che hanno raggiunto una valorizzazione superiore al miliardo di dollari e che, quindi, rappresentano un vero e proprio simbolo di successo economico; nel mondo dell’imprenditoria ad alta tecnologia, infatti, gli unicorni esistono (altro che fiabe) e il termine è stato coniato da Aileen Lee nell’articolo “Welcome to the Unicorn Club” nel novembre 2013 ove l’autrice definisce – per fare un esempio – Facebook come una società super-unicorno, almeno nel decennio 2003-2013.
Nel periodo di questa pandemia, gli unicorni hanno rappresentato lo strumento vincente contro la diffusione del virus ma anche per il rilancio economico dei vari settori colpiti, tra cui il turismo; in questo senso, apripista è il saggio di Jonathan Pacifici – general manager dei fondi Wadi Ventures e Sixth Millenium – intitolato appunto “Gli unicorni non prendono il Corona” e nel quale affronta un vero e proprio viaggio tra le start up israeliane che stanno rimettendo in piedi un paese colpito, come tutti, dalla crisi economica post pandemica.
Israele è il paese degli unicorni. Se gli USA ne contano 125 e la Cina solo 77, in Israele (con poco meno di 9 milioni di abitanti) si hanno ben 18 unicorni e di questi ve ne sono 4 piazzati tra le prime 10 aziende al mondo come migliori start up per il turismo. Il segreto di questo particolare successo è dovuto all’altissima densità di aziende innovative e avanzate in sui temi della IA e dello sviluppo software a tutto campo, tanto che Tel Aviv rappresenta il terzo hub dell’High Tech dopo San Francisco e Londra; seppur quasi completamente priva di risorse minerarie, Israele è divenuta un grande giacimento di idee e cervelli, in grado di sviluppare soluzioni innovative nell’industria, nell’agricoltura, nei servizi, nell’intelligence e, come si diceva, anche nel turismo.
Infatti, il turismo.
Forse è il settore che ha subito maggiormente il colpo. Difficoltà e paura nel viaggiare, rischio contagio, quarantena preventiva o cautelativa, lockdown per bar, ristoranti, hotel e musei, sono solo alcune delle ragioni che hanno ibernato il settore.
L’economia del turismo deve ripensare sé stessa, trovare nuove energie e un nuovo modo di fare business oltre gli schemi che hanno accompagnato le classiche scelte degli ultimi anni. Non solo le prenotazioni o la individuazione del luogo dove alloggiare (cosa che già è legata per buona parte ai social e siti web dedicati) ma tutto il comparto deve ridisegnare il proprio perimetro, costruendo un nuovo modello che passi per il digitale e le start up high tech: gli unicorni, per l’appunto. L’utilizzo della tecnologia e lo sviluppo della medesima tramite gli investimenti da parte dei privati in concorrenza tra loro, consente di guardare con ottimismo al turismo del futuro che sarà sempre più digitale (ma non immateriale), calibrato al millimetro sulla customer satisfation, e potrà fare affidamento su Big Data e tutti quelle informazioni che ogni viaggiatore immette nella rete: foto ricordo, apprezzamenti, critiche, tempi di viaggio, durata del soggiorno, mete visitate maggiormente, e via dicendo in una globale condivisione dell’esperienza vissuta da parte del singolo.
Si perderà il senso della vacanza più riservata o esclusiva? No, poiché la vacanza, il viaggio, l’esperienza, resteranno sempre personali e individuali, ciò che viene condiviso e reso comune è la modalità di organizzazione e di gestione del turismo.
La tecnologia sta rivoluzionando il mondo, e l’innovazione necessita di un ecosistema ben delineato, che possa fare affidamento su sistemi industriali altamente digitalizzati, nonché su centri di ricerca e sviluppo (in gergo R&D), oltre al supporto da parte degli atenei con un approccio innovativo e meno occlusivo delle opportunità offerte dalla IA.
Articolo apparso in:
Fondazione Leonardo
03 marzo 2021